Questa chiesa è stata costruita nel Medio Evo, al termine dell’XI secolo, da monaci appartenenti all'ordine benedettino riformato di Cluny. Ma ciò che noi attualmente vediamo copre altre due chiese che sono state costruite prima.
In questo luogo c’era una piccola cappella detta “cella memoriae”, che ricordava il luogo della morte o la tomba di un martire: è stata scoperta nel corso degli scavi effettuati dal 1994 al 1996, ed è datata, secondo gli studiosi, IV secolo. E’ stata ritrovata una piccola chiesa che era orientata a ovest, e non a est, come tutte le chiese a partire dal VI secolo, e come era già in uso nella Chiesa d’Oriente.
Nel corso dell’XI secolo, sulla precedente “cella memoriae”, è stata costruita un’altra piccola chiesa, ma con l’abside a est. Questa, che è stata dedicata a Santa Maria, apparteneva, con i territori circostanti, a dei vassalli dell’Arcivescovo di Milano; è stato ritrovato il documento che attesta la donazione della Chiesa di Santa Maria all’Abbazia di Cluny. I monaci arrivano e decidono di costruire una chiesa per la loro comunità.
I monaci di Cluny consacravano la loro vita unicamente alla preghiera; non lavoravano, perché le donazioni permettevano loro di far lavorare dei servi. Occorreva una chiesa degna del culto lungo tutta la giornata.
Cominciarono dall’abside e continuarono con le navate, fino a coprire completamente la seconda chiesa, quella di Santa Maria, che già aveva coperto la “cella memoriae”.
Adesso parliamo di questa chiesa cluniacense, quella che noi vediamo oggi. Essa è in stile romanico, con tre navate e una serie di pilastri alternati, forti e deboli.
Due caratteristiche di questa chiesa: le pietre, utilizzate nella costruzione in mattoni, dette di “reimpiego”, una sorta di riciclaggio dei tempi antichi; l’”opus spicatum”, cioè la disposizione dei mattoni, posati “a spina pesce”. Anche quest’ultima tecnica serve, non solo a decorare, ma anche a riutilizzare differenti tipi di mattoni, provenienti da costruzioni precedenti o da crolli.
Da osservare in loco sono due cicli di immagini: il portale e l’affresco dell’abside.

6. Cosa resta del passato?

Ci è arrivata per vie "pavesi", quindi per strade che – va osservato – ancora una volta portano la risposta sul martirio di Boezio più in qualche "Calvenzano" pavese che milanese. Fu il grande vescovo Carlo Bascapè (Melegnano 1550-Novara 1615) a voler premiare la fede dei montanari con un "corpo santo" di simile importanza. Giacomo Bascapè, poi Carlo in nome di San Carlo Borromeo, nacque a Melegnano ma era di famiglia pavese collegata all'omonimo borgo di Bascapé, e studiò a Pavia. Superiore generale dei Barnabiti, nel 1593 fu destinato a guidare la diocesi di Novara che all'epoca era nello Stato milanese, non con i Savoia. Nello stesso anno in cui prese possesso della cattedra di San Gaudenzio, iniziò una visita pastorale del vasto territorio di cui era in cura d'anime: ci mise dieci anni, a dorso di mulo. Arrivò dappertutto e in valle Anzasca, sotto il monte Rosa, anzichè incontrare genti mezze protestanti come temeva (la Svizzera è pur sempre dietro lo spartiacque), trovò invece un cattolicesimo semplice. Magari non rigorosissimo dal punto di vista morale – nei suoi diari di visitatore il Bascapé parla di sacerdoti armati e concubini ... - comunque poco tentato dalle rivoluzioni teologiche.

          Ceppo Morelli, parrocchiale di San Giovanni Battista, facciata con pronao

I ceppomorellesi nel 1603 presentarono istanza alla Curia novarese per costituire parrocchia a sé staccandosi dal vicino abitato di Vanzone (che oggi si chiama "San Carlo con Vanzone" ma all'epoca no, non essendo ancora stato canonizzato il Borromeo) e il vescovo li accontentò con la dichiarazione di nuova parrocchia. Furono quindi iniziati i lavori per dotare il paese di una monumentale canonica in granito, che è quella ancora oggi visibile anche se le opere procedettero per fasi successive fino al 1759. Non è facilmente definibile, in realtà, se sia stato esattamente il Bascapè in persona a pensare a una reliquia così "clamorosa", quella del massimo pensatore cristiano del primo Medioevo.

Comunque da lui parte sicuramente l'ideazione di un "controllo delle coscienze", in quelle valli poco raggiungibili che passasse anche attraverso la manifestazione visibile e costante della benedizione. Cioè la reliquia: proprio quella bandita, assieme all'immagine e alla processione, dallo spirito rigorista e minimalista delle confessioni protestanti. Così, una parte del Corpo Santo di Boezio giunse in terre che il nostro filosofo "romanissimo" avrebbe liquidato come tutti i romani antichi – poco amanti delle montagne – come rupes nigrae et altissimae. Naturalmente, la reliquia fu prelevata dalla sepoltura di Boezio a Pavia, nella  chiesa di San Pietro in Ciel D'Oro.
                                                                                                                                                                        Emanuele Dolcini  

6.1 Carlo Bascapé e le reliquie di San Severino Boezio

Il filosofo Anicio Manlio Severino Boezio (Roma 480 ca. d.C. - Pavia (?) 524 o 525 d.C.) è un personaggio che si lega per vie "traverse" alla storia della nostra basilica di Santa Maria in Calvenzano. Da secoli esiste una tradizione, con autorevoli sostenitori, che sostiene l'identificazione dell'enigmatico Ager Calventianus, nel quale San Severino Boezio, uomo di pensiero e di governo sarebbe stato condannato a morte dal re degli Ostrogoti Teoderich-Dietrich, Teodorico (493-526 d.C.), proprio con il Calvenzano "nostro", quello vizzolese. Si tratta di un fatto antichissimo (siamo più o meno nel periodo della caduta dell'Impero romano in Occidente), raccontato da diverse fonti ma con un margine di approssimazione destinato a rimanere probabilmente inviolabile su quale "Calvenzano" – purchè si resti nel nord Italia - esattamente sia stato teatro di quel remoto e sanguinoso episodio.

Si vuole qui però evidenziare un aspetto assai poco noto della Quaestio Boethiana, cioè dei tanti misteri che circondano questa voce dell'antichità a partire dalla controversa appartenenza cristiana di Boezio - che pure è Santo, con memoria il 23 ottobre - fino al luogo di detenzione ed esecuzione. Pochissimi sapranno, si immagina, che c'è un altro comune che entra nella nebulosa storia di quei tempi lontani: Ceppo Morelli, 335 abitanti attuali, quasi sotto il Monte Rosa.

Tranquilli, Boezio non è... morto anche lì, e non ci sono Calvenzani in giro da quelle parti. Tuttavia, nella parrocchiale di San Giovanni Battista in Ceppo Morelli ci sono circa cento reliquie, fra cui una della "Sacra Spina" della corona di Gesù. E fra questi cento "Corpi Santi" custoditi in un'urna d'argento vicino all'altare, c'è anche la reliquia di San Severino Boezio. Come è arrivata in mezzo a quelle genti di montagna, lontane 150 chilometri da qualunque "Calvenzano" della suddetta disputa sul carcere boeziano, quello in cui avrebbe composto il De consolatione philosophiae?

7.1 Il 2 novembre rimanda ai cluniacensi!

Ogni inizio novembre celebriamo la Commemorazione dei Defunti. Frequentiamo i Cimiteri, pregheremo magari per i nostri morti... Tutto questo senza sapere, magari, che chi ha istituito questa Festa Liturgica sono i monaci cluniacensi, quelli che hanno fondato anche la nostra Basilica. D’altra parte l’intercessione per i defunti si trova all’origine della storia dei monaci di Cluny, la percorre e le dà sostanza.   La fondazione di Cluny, infatti, è avvenuta proprio perché Guglielmo, conte di Mâcon e Duca d’Aquitania, facendo dono dei suoi beni ai monaci, richiedeva loro una costante preghiera “per la salvezza delle anime nostre e dei corpi”; e così i cluniacensi sono stati istituiti perché pregassero perpetuamente per le anime dei benefattori e dei loro famigliari.
Esisteva a quel tempo la consuetudine di celebrare suffragi per il defunto nell’anniversario della sua morte, ma la grande novità che porta l’abate Odilone nel 998, quella che egli chiama “la sua invenzione”, consiste nell’aver attribuito alla ricorrenza dei morti un posto fisso nell’anno liturgico, il giorno dopo la festa di Ognissanti. Già i primi cristiani celebravano feste in onore dei Santi; vi è testimonianza della Festa del 13 maggio, giunta a Roma nel 609, quando papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon di Roma alla Vergine Maria e a tutti i martiri. Nel tentativo di far perdere significato ai riti legati alla festa celtica di Samhain, in cui magicamente gli antenati uscivano dalle loro tombe e si mescolavano con i viventi, nell'anno 835 Papa Gregorio Magno spostò la festa di Ognissanti dal 13 maggio al primo novembre.
La Festa di Ognissanti si celebrava dunque il 1° novembre, e, sempre nel IX secolo era stato istituito un Officio dei Morti, in quanto “molti sono usciti da questo mondo senza essere ancora ammessi nella compagnia dei santi”.
La festa dei morti, a Cluny, a partire dal 998, si apre in modo molto solenne la sera del 1° novembre, con la recita dei salmi, il suono delle campane e l’accensione di molte candele e prosegue per tutto il giorno dopo, mentre i sacerdoti celebrano messe private per il riposo dei morti.
Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny favorì l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Fu nel 1474 che Papa Sisto IV rese obbligatoria la solennità in tutta la Chiesa d’Occidente.  Un aspetto delle celebrazioni cluniacensi del 2 novembre che mi sembra importante da sottolineare, a conclusione, è che durante le celebrazioni “venivano nutriti dodici poveri”: la preghiera per i morti non era disgiunta dall’attenzione verso i vivi che erano nel bisogno e questo potrebbe essere per noi un serio motivo di riflessione.

                                                                                Maria Teresa Sapienza
Bibliografia
“I monaci di Cluny”, Glauco Maria Cantarella, Einaudi
Sitografia
http://www.storialibera.it/epoca_medioevale/X_XI_secolo/gregorio_VII/articolo.php?id=2252
http://www.rm.unina.it/repertorio/sereno_cluny.html