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4.a. L'Affresco della Basilica: influssi bizantini?

24 Settembre 2015 Visite: 449
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E' piuttosto noto, almeno per i buoni conoscitori della nostra basilica, che la principale opera d'arte interna all'ambiente sacro, l'affresco absidale raffigurante l'Incoronazione della Vergine, sia criticamente riconosciuta come episodio artistico attribuibile ad un'autore di area occidentale e latina vissuto nel XIV secolo, fondamentalmente giottesco, ma "con un sottofondo di influssi orientali-bizantini" . In cosa consistono, sinteticamente, questi influssi nella disposizione dei 22 personaggi che possiamo ammirare dietro l'altare a Calvenzano? In linea generale andrebbe premesso che l' intera arte sacra europea fino agli albori dell' Umanesimo figurativo (Cimabue, Giotto, Beato Angelico) è in larga parte "iconica" e quindi non ha il "naturalismo", in qualunque senso lo si intenda, come principale obiettivo. "La pittura rappresenti e la scultura insegni", era un principio guida del pensar medievale. Ma anche la pittura, assai spesso, appare connotata da quella sacralità atemporale che poi si è meglio conservata nel mondo cristiano orientale. Fatta salva l'eccezione di qualche episodio "ottoniano" (sec.IX-XI) di stupefacente movimento, l''impostazione non realistica del mezzo d'arte medievale dura almeno fino alla rottura concettuale del Rinascimento; poi curiosamente si riaffaccia nel Novecento delle Avanguardie, periodo più vicino alle sfumature un certo simbolismo romanico che, per dire, al Sette e Ottocento.

Il prodotto d'arte medievale suggerisce facilmente l'impressione - nell'estrema sintesi della scena, nel numero limitato di personaggi e nella stilizzazione dello sfondo - del gusto "orientale". Di quella "assenza di ogni accidentalità umana", fenomenale espressione con la quale un insuperato studio sull'arte medievale del Touring Club Italiano di molti anni fa (1963) descriveva certi Cristi bizantini della Sicilia normanna. Eppure l'"iconicità" non è sempre forte allo stesso modo, e bisogna saper guardare con più accuratezza anche in cose che sembrano indistinguibili. L'archivolto di Santa Maria in Calvenzano, anch'esso anonimo, destinato a non svelarci mai il nome del suo autore, non ha nulla dell'arte dell'Italia romana e meridionale, e men che meno bizantina. L'abside sì, riecheggia qualcosa che andrebbe indagato con uno studio comparativo di robusta dedizione. O con la riattualizzazione di studi che già esistono. Che cosa osserviamo in particolare nell'abside della nostra amata parrocchia? Che un livello di una Iconostasis bizantino-ortodossa appare sostanzialmente sceso di una "posizione" diventando dal primo superiore il primo inferiore. A Calvenzano sembra accaduto questo. L' Iconostasis delle chiese di culto ortodosso (post scisma del 1054) o anche di quelle cattoliche di rito orientale, è in poche parole il transetto, quasi sempre ligneo. Una Iconostasis divide il Santissimo dove il sacerdote celebra spalle alla folla per larga parte della liturgia, imo livello superiore dell' "espositore di icone" bizantino è pragmaticamente prevista la raffigurazione di dodici (o quattordici) profeti dell'Antico Testamento attorno all'immagine di Maria Thèotokos, Generatrice di Dio.
Una Iconostasis non si puòcambiare a piacere, perché come tutto il resto nell'immaginario orientale è normata da una serie di codici, di "ritorni", di riconoscimenti, che devono trasmettere fisicamente al fedele il senso dell'assenza di tempo, dell' "aiòn" – l'intemporalità divina – prefigurata dalla stessa "circolarità" della Divina Liturgia ortodossa.
 Profeti con pergamena, affresco 1363 Matteo Giovannetti, palazzo dei Papi Avignone.

Ed è significativo che in Calvenzano i profeti siano proprio dodici, il numero prammatico del culto d'oriente. Sebbene in tutto il discorso vada sottolineato come il "bizantinismo" dell'abside, la sua foggia greco-meridionale, risulti più pronunciata nel primo livello (l'Incoronazione della Vergine), piuttosto che in quello immediatamente inferiore dove - sì- il numero di profeti coincide con i modi dell'Iconostasis, ma la loro postura vira decisamente verso accenti giotteschi più schiettamente occidentali.

E le pergamene nelle mani dei profeti? Anche queste rientrano in un'interessantissima maniera che attraversa, se guardiamo le nostre chiese almeno fino all'impostazione strettamente contemporanea dell'edificio sacro, secoli e secoli di "biblia pauperum", di divulgazione della Storia Sacra alle masse. I personaggi in una chiesa dovevano essere riconoscibili, immediatamente tratteggiati in un orizzonte sociale che sapeva leggere per niente o poco, forse solo il necessario a capire che "l'uomo col cartiglio", il portatore di una pergamena con un verso immediatamente qualificante era "il profeta", l'uomo dell'Antico Testamento. 

Emanuele Dolcini

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